Per molti anni mi sono domandato sul vero significato di quel “beati i poveri di spirito“. Ma chi sono i poveri di spirito?

Mi era stato detto che nel Vangelo essere “poveri di spirito” ha a che fare con l’avere il cuore distaccato dalle ricchezze. Altri, in termini più esistenziali, sostengono che ha con il rinunciare al potere ed affidarsi a Dio, quindi con la fede. Tutto questo può essere vero. Ma si esaurisce qui o la frase implica qualche cosa di più?

Nella mia mente di bambino lo spirito era una cosa bella, implicava essere più vicino a Dio, così l’avevo inteso. Perché allora incitarne ad averne poco? Dovrei essere ricco di spirito! Oppure no? Non ero convinto che le interpretazioni datemi fossero corrette o quanto meno complete. Mi sembrava di sentirmi dire: “non importa quello che dice, noi ti diciamo che è così.” Non ho smesso di cercare.

Uno dei massimi capolavori della letteratura russa,  è L’idiota  di Dostoevskij. L’idiota è un buono, ingenuo, l’idiota non cerca di essere al di sopra degli altri, è una specie di santo e dimostra sia intelligenza che saggezza: “c’è chi mi crede un idiota[…] ma come è possibile che io sia idiota se, io per primo, mi accorgo che tale la gente mi considera?” Idiota consapevole di se stesso non è idiota. Ma L’idiota è un aristocratico che parla con i servi, che ama i bambini , fa, non fa e rinuncia a molte cose per cui so si considera un idiota. Sappiamo come Dostoevskij abbia voluto rappresentare un “Cristo contemporaneo”.

Mi sembra che Dostoevskij sia andato più in là nella comprensione del “povero di spirito” e della sua beatitudine di molti altri che hanno commentato il discorso della montagna.

Nel discorso c’è un indizio importante: Il povero di spirito “possiede il regno dei cieli.

Ora, sappiamo che il regno dei cieli è dentro di noi, la stessa fonte lo dice (è un po’ come dire: se incontri il Buddha sulla strada, uccidilo). Sappiamo che la porta da cui si entra è molto stretta, una cruna. Per chi sa meditare veramente questo è facile da comprendere (anche se non da realizzare nella vita).

Immaginiamo un cunicolo nella grotta di una montagna. Un cunicolo molto stretto, magari alto solo 30cm e poco più largo. Per entrarci, devi strisciare sul terreno per molti metri. Uno di quei cunicoli in cui solo alcuni coraggiosi speleologi riescono a infilarsi. Non puoi avere lo zaino, altrimenti non ci passi, non puoi avere arnesi e piccozza, altrimenti ti incastri, neppure una cintura, nulla, ma nudo, scarico, semplicemente vuoto. Se superi la cruna entri in una meravigliosa grotta incontaminata, ricca di tesori, la cui bellezza ti investe, riempie tutto il tuo essere e non esiste più distinzione né separazione. Non puoi entrare nel regno dei cieli da uno stato separato.

Sahajananda è un monaco camaldolese dell’Ashram Shantivanam indù in India. Esponente leader del dialogo cristiano – indù che insegna spiritualità indo-cristiana. Sapevi della loro esistenza? Naturalmente non hanno vita facile né con gli indù né con i cristiani. Fino a poco tempo fa i suoi libri non erano pubblicati in Italia (“a chi interesserebbero?”). Ora qualcuno lo è, ma non quello sulle beatitudini che io sappia. Eppure anche lui, avendo la prospettiva così diversa, quella di uno che affronta lo studio dei testi sacri di una religione con la consapevolezza e la conoscenza di una o più altre religioni, è arrivato a una conclusione forse più coerente con il testo delle beatitudini.

Per essere povero di spirito, devi essere vuoto, povero nel senso di scarico, devi essere senza etichette.

Ad esempio, se hai un sistema intellettuale su Dio, non sei povero di spirito. Quando dici, sono indù o sono cristiano, sono buddista piuttosto che mussulmano, ti carichi di un peso, di un qualche cosa preso dall’esterno, ti allacci un’etichetta e ti separi. Il povero di spirito rinuncia al suo carico mentale, rinuncia a pensarsi sulla strada giusta e di porre, nella sua mente, gli altri su quella sbagliata, incasellati, etichettati come quelli nell’errore. Il fariseo è un po’ lo stereotipo del opposto del povero di spirito: si pensa bravo, il migliore, nel giusto, con Dio dalla sua parte. Da quella posizione, così carica spiritualmente, giudica gli altri, i peccatori, l’esattore delle tasse,….

Quanto ti affibi una etichetta, è come se ti caricassi di uno zaino pesante e cercassi poi di passare per quell’angusto cunicolo. Spingi quanto vuoi, non ci passi. Pensati migliore o diverso quanto vuoi, non ci passi.

Nella meditazione, soprattutto in quelle tecniche vicine alla Presenza Mentale, uno degli scogli più difficili da superare, una delle abitudini mentali più difficile da togliere, è quella di etichettare. Quando sei nell’attenzione percepisci ogni cosa, percepisci ogni suono. Devi diventare ogni cosa, ogni suono ma se ascolti un rumore e lo etichetti, per esempio se senti una macchina passare e pensi “macchina che passa”, hai creato separazione. Hai messo un peso nel tuo zaino, ti sei staccato dalla presenza. Etichetti dunque separi. Prova ad ascoltare senza etichettare, a leggere senza commentare. È molto difficile.

Il corso di meditazione spirituale non è quindi legato ad una religione particolare ma segue un approccio contemplativo e può essere integrato nella fede e secondo approccio di ciascuno. Necessiti di una sensibilità spirituale e vuoi approfondirla. Quando sei vuoto, e rivolgi lo sguardo allo spirito, Dio comincia a parlare.

Si può imparare ad ascoltare senza giudicare, a percepire senza etichettare, senza separare. Se potessi vivere in quello stato, molti ti considererebbero un idiota e tu saresti felice di esserlo. Molti capirebbero il significato di “poveri di spirito”  e tuo sarebbe il regno dei cieli (questo non l’ho detto io!).