Vi fu un tempo in cui gli uomini erano ciechi e tenuti in prigionia. Alcuni di questi, tra i migliori, riuscirono un giorno a sfuggire dalla prigionia. Si incamminarono ognuno per la sua strada. Ma tutti incontrarono qualcosa, forse una gigantesca creatura la cui presenza dava sicurezza, benessere e fiducia, nella paura della solitudine e del viaggio. Questi saggi, una volta tornati, sembravano strani e parlavano di cose difficilmente comprensibili, alcuni uomini sostenevano che essi ora vedevano ma nessuno in realtà capiva cosa questo volesse dire, essendo tutti ciechi.
Infatti questi saggi, ed altri che non si sapeva da dove venissero, incominciarono a raccontare la loro esperienza. In realtà parlavano poco e non prendevano parte alle dispute; cercavano semplicemente di indicare agli altri la via per ripetere la loro esperienza. Ma poi morirono o se ne andarono. Fu così che si incominciò ad organizzare dei gruppi per seguire gli insegnamenti di questo o quel saggio. Si incominciò a parlare e scrivere molto. Qualcun altro riuscì a scappare dalla prigionia, per ritrovarsi nella stessa difficoltà con il linguaggio degli uomini, non si poteva spiegare l’esperienza. Ma si arricchirono comunque le narrazioni anche di questi nuovi resoconti ed i gruppi si riunivano per parlare e praticare. Ogni gruppo ricordava un po’ a modo suo.
Ad esempio uno gruppo sosteneva che: “al di la delle montagne, vive un essere gigantesco la cui presenza dona sicurezza, benessere e fiducia; è in questo mondo pieno di pericoli eppur non vi appartiene. È morbido ed avvolgente come un grande serpente, in un caldo abbraccio dona sicurezza e ci trasporta dove non si potrebbe altrimenti andare. Al suo apice vi è una apertura dalla quale esce ed entra un soffio vitale che riscalda il cuore…”. Un altro gruppo invece ricordava che: “al di la del deserto c’è un grande essere, al tatto è duro, freddo come un dente. È forte ed appuntito come una lancia, nulla può resistere davanti al Lui. Ha scacciato la belva che voleva divorare il saggio. Confidate in lui ed i vostri nemici saranno sconfitti,…”. Oppure un altro tramandava che: ”al di là del fiume si incontra un pilastro. È alto, dritto e possente, pulsa ed è vitale, immaginate un albero che tutto pervade, se l’abbracciate sentite come se diventaste parte della terra e del cielo. Nulla vi può più scuotere o ferire. Sarete pervasi da un senso di pace…” …. e così molti altri gruppi, qualcuno raccontava come l’essere avesse rivelato dei segreti al saggio, altri dissero che Lui sarebbe venuto a liberarli.
Quando però i vari gruppi incominciarono ad incontrarsi, iniziò anche la contrapposizione. Avevano creato idee diverse, concetti ed aspettative differenti, pratiche dissimili. Alcune fazioni più forti incominciarono a bruciare uomini di altri gruppi, sostenendo che mescolarsi con quelli fosse un pervertimento. Altri tagliavano la testa a coloro che credevano che l’essere avesse richieste diverse da quanto loro insegnavano. Molti sostenevano di essere gli unici a possedere la verità della via. Alcuni, alla luce del molto male che si stava generando, cominciarono a dire che non esisteva né l’essere gigantesco, né l’albero o qualsiasi altra cosa al di là di ciò che tutti possono toccare o misurare ripetutamente ottenendo gli stessi risultati.
(Spunto da Udana 6.4, Tittha Sutta, Canone Pali Buddista, liberamente tratto e sviluppato)
Dobbiamo dunque limitarci a considerare vero solo ciò che possiamo toccare o misurare per non cadere nell’arroganza intellettuale e nell’odio? Oppure, parafrasando Wittgenstein, forse dovremmo tacere sulle cose di cui non possiamo parlare, senza per questo sostenerne l’infondatezza.
Ma è possibile parlare dell’assoluto senza pretendere che tutti seguano la stessa strada e salgano per la medesima via? Parlare senza arrogarsi la verità assoluta ed il dogma, senza sentirsi nel peccato se si pratica insieme ad altri od a sentirsi nel giusto ad infliggere dolore negli altri in quanto diversi, “eretici o miscredenti”? Ovvero è possibile parlare con tolleranza ed apertura, consci dei limiti del linguaggio nel descrivere e trasmettere l’Assoluto?
Cerchiamo di fare un passo in più. Seguendo la via di quei saggi, i più silenziosi, possiamo imparare come conoscere le cose di cui non possiamo parlare, tacendo. Questo approccio lo chiamiamo mistico o meditativo: se non possiamo arrivare a concepire ciò che va al di là della nostra mente, non possiamo far altro che imparare a far tacere la nostra mente ed incominciare ad ascoltare con occhi diversi.